giuseppe criscionePenso che accada a tante persone, dopo aver trascorso buona parte della propria vita, di volgere lo sguardo indietro nel tempo a ripercorrere quelle tappe che hanno segnato la loro esistenza. Proprio di questo cammino mi piacerebbe parlare a lungo, ma mi limiterò a dare un’idea del mio percorso artistico.

Sin dall’infanzia si manifestò in me una grande passione per il disegno. Nel piccolo paese di Vallelunga Pratameno, nel nisseno, i compagni di scuola sfuggendo agli sguardi dell’insegnante,mi passavano i fogli da disegno perché io potessi aggiustare i loro approssimativi disegni. Così si sparse la voce che io ero bravo nel disegno e, durante le sere d’estate, in piazza, le persone mi incitavano a disegnare qualcosa per terra; disegnavo allora con i gessetti i volti delle attrici del cinema in voga negli anni cinquanta.

Coltivavo questa passione senza l’aiuto di nessuno e in questa situazione mi sentivo come un Giotto senza il suo Cimabue. Il mio sogno era quello di frequentare una scuola d’arte, ma le condizioni dei miei genitori contadini non permettevano di mantenermi in una città come Palermo.

Trascorsi anni difficili, pieni d’ansia e d’amarezza, perché non vedevo alcuna prospettiva nel mio paese. I miei genitori si prodigavano a cercare aiuto, ma nessuno ci venne incontro e, all’evidenza dei fatti, mi consigliarono d’imparare un mestiere che mi permettesse di guadagnarmi da viere.

Don Calcedonio Saglibene, buon uomo e ottimo calzolaio, mi accolse nella sua bottega e imparai il mestiere. Trascorsi gli anni dell’apprendistato, fui in grado di farmi le scarpe per la festa: solo allora riuscii ad essere orgoglioso di me stesso. Fu grazie al mestiere che nel 1959, venuto a Ragusa in casa di una mia zia, trovai lavoro. Ero venuto solo per una breve vacanza e, invece,, mi trovai a lavorare nella bottega di un calzolaio. Il mio pensiero era sempre rivolto all’arte del dipingere. Mi sistemai un piccolo atelier in soffitta e nelle ore libere dipingevo quadri ispirandomi alla campagna ragusana che trovavo molto interessante per la varietà delle forme e dei colori.

Visitai mostre, conobbi pittori con i quali instaurai buoni rapporti d’amicizia. I loro consigli mi furono utili per migliorarmi nella tecnica della pittura ad olio e ad acquerello. Partecipai nel 1963 ad un concorso di pittura giovanile e mi fu assegnato il terso premio, il mio primo successo dopo qualche anno , allo stesso concorso, mi classificai al primo posto.

Conobbi Ciccio Balglieri, impiegato di banca, che dipingeva i suoi personaggi con la spatola, alla maniera impressionista, con straordinari effetti di luce. Mi invitava ad andare con lui a dipingere dal vero, per scoprire nella natura, “somma maestra dell’arte”, il bel soggetto da dipingere studiando la giusta inquadratura e la bellezza dei colori. Furono anni molto preziosi per me perché avevo trovato, finalmente, un Cimabue.

Capitò di recarmi a Sciacca per le cure termali, e mi ero portato dietro colori per ritrarre qualche angolo caratteristico del luogo. Fui incuriosito dall’abbondanza delle ceramiche esposte nei negozi; quelle che però suscitarono il mio interesse furono le figurine in terracotta. Prima di rientrare a Ragusa acquistai una figurina dalla forma caricaturale: mi incuriosiva il panneggio, reso così grazie alla duttilità della materia. Fin da ragazzo avevo maneggiato argilla, ma non avevo mai avuto la possibilità di stirarla in maniera così sottile. A questo punto iniziò la mia ricerca della materia “divina”, come la definì Gabriele D’Annunzio visitando lo studio dell’amico scultore Costantino Barbella.

Il mio caro amico e maestro, professore Oscar Spadola, mi consigliò di fare un viaggio a Caltagirone, famosa per la tradizione cera mistica, per andare e visitare le botteghe artigiane. Scoprii, cosi, un mondo nuovo, e quando mi trovai di fronte alle figurine e ai gruppi dei dongiovanni-vaccaro, esposti al museo della ceramica, ne fui profondamente colpito. Ogni volta che tornavo a calta girono per comprare la bella creta, non potevo rinunciare a una visita al museo per studiare attentamente quegli autentici capolavori, ma dopo qualche tempo andai per la mia strada risolvendo forme ed espressioni secondo il mio modo di sentire, lasciandomi trasportare, semplicemente, dal mio istinto creativo.

È in questo che ritorno alle mie origini, al mio paese che dovetti lasciare ma che mi aveva offerto tante immagini che ancora oggi ripercorro con la memoria: la vita dei campi, i pastori, i contadini –dal fisico logorato dal tempo e dal duro lavoro- che tornano a casa con zappe e bisacce sulle spalle curve. Presi come modello anche mo padre per sublimarne l’immagine di buon padre onesto e stancabile lavoratore.

Non avevo potuto frequentare una scuola d’arte ma il mio bisogno più grande rimaneva quello di riuscire a modellare l’argilla; quando superai le prime difficoltà provai bellissime sensazioni: finalmente la materia mi permetteva di esprimer e tutta la mia creatività.

Non possedevo ancora un forno dove cuocere le opere realizzate e per questo mi recavo periodicamente a Caltagirone, accolto amichevolmente dallo scultore Maurizio Patrì al quale sarò sempre grato per i consigli e l’aiuto.

Erano gli anni settanta e nell’ambiente ragusano questa mia attività di figurinaio fu una grande novità. Fui presto scopeto da tanti estimatori di questo genere d’arte, i quali compravano appena pronte le mie statuine.

Passando per le strade di Ragusa mi capitava d’incontrare vecchiette, mendicanti, venditori ambulanti; li osservavo attentamente perché mi suscitavano un interesse creativo a tal punto che mi dicevo: a chistu l’haiua a fari ri crita e riuscivo a ricreare a memoria il personaggio, riconoscibile per la struttura e i tratti somatici. Così la mia attività ebbe risonanza in Italia e all’estero. Specialmente dall’ambiente presepi stico arrivarono numerose richieste, grazie all’amico Nino Greco noto presepista.

La mia bottega divenne punto d’incontro di artisti: pittori, scultori, poeti. Per il pittore Antonino Cannì era una tappa obbligata. Veniva da Ibla con la fedele valigetta per recarsi al bar mediterraneo dove svolgeva la sua corrispondenza con quanti gli scrivevano; dopo giungeva da me e si tratteneva qualche ora, accompagnando il mio lavoro col racconto della sua vita d’artista e di qualche divertente personaggio della vecchia Ragusa. Diceva di apprezzare il mio lavoro. Conservo con affetto il suo ricordo di simpatico ottantenne che, a volte, per non perdere l’autobus che lo riportava a Ibla, si avviava alla fermata correndo come un giovanetto.

Tanti amici continuano a sostenermi con la loro fiducia nel mio lavoro sempre più attento per l’esperienza acquisita nel tempo con la tenacia di un autentico autodidatta. Mi resta il solo rammarico di aver dovuto trascurare la pittura per mancanza di tempo, ed è solo nei pastelli che ho trovato il modo rapido di esprimere le sensazioni pittoriche suggerite dai miei modelli di creta.

Giuseppe Criscione